Quando il Selfpublishing è sinonimo di qualità e successo. Intervista a Rita Carla Francesca Monticelli

RitaOggi vorrei proporvi l’intervista a Rita Carla Francesca Monticelli, autrice di spicco nell’ambito del Self publishing. E’ stata sicuramente una pioniera dell’editoria indipendente ed è  divenuta in poco tempo una figura di riferimento per molti autori. Proprio per questo motivo ho ritenuto significativa la sua testimonianza.  Si tratta di un’intervista molto lunga, che tuttavia ritengo sia utile e interessante per chi voglia intraprendere la strada del Selfpuplishing. L’autrice dispone di svariati spazi virtuali che sono stati determinanti per la visibilità delle sue opere, tra cui è utile menzionare il blog Anakina.net

 

Intervista somministrata via Skype.

Biografia: L’autrice vive a Cagliari, dove lavora come scrittrice, traduttrice letteraria e scientifica. Tra il 2012 e il 2013 ha pubblicato la serie di fantascienza Deserto rosso, disponibile in un volume unico sia in ebook che in cartaceo. Grazie alla pubblicazione di questa serie è stata indicata da Wired Magazine come una dei dieci migliori autori indipendenti italiani e ciò le è valso la partecipazione come ospite al XXVIII Salone Internazionale del Libro di Torino e alla Frankfurter Buchmesse 2014. I suoi libri includono anche il romanzo di fantascienza L’isola di Gaia e i thriller Il mentore e Affinità d’intenti.

 

Ciao Rita, questa intervista verrà registrata, sei d’accordo?

Sì, va bene.

Come è stato il tuo approccio al Self publishing , come ne sei venuta a conoscenza, insomma la tua esperienza.

Il Self publishing l’ho scoperto anni prima di iniziare a provarlo, quando stavo scrivendo “L’isola di Gaia”, l’ultimo libro che ho pubblicato [nota: l’intervista è stata fatta prima della pubblicazione del romanzo più recente dell’autrice, “Affinità d’Intenti”]. Mi guardavo intorno in cerca di opportunità per pubblicarlo. Inizialmente stavo adocchiando quello che il mercato offriva all’epoca, cioè il print on demand, perché anche, se l’ebook era già diffuso all’estero, ciò non valeva in Italia. Mi sono messa a studiare e, siccome ho lavorato tre anni per finire quel libro, ho avuto un sacco di tempo! Non ricordo esattamente come sia avvenuto, ma sono entrata in contatto con alcuni blog americani e inglesi che si occupano di Self publishing e ho cominciato a seguirli in maniera assidua, a leggere articoli, a informarmi. Ho scoperto KDP, che esisteva già da qualche anno in America, e la cosa mi è sembrata subito interessante, anche perché più andavo avanti e studiavo l’editoria tradizionale, più mi sembrava un mondo che non mi piaceva, fatto di fortuna e di conoscenze. Tra l’altro io scrivo fantascienza, un genere che in Italia è di nicchia, per cui esistono pochissimi editori che la pubblicano. Poi scrivo anche libri lunghi e questo è un problema, perché sappiamo bene che in editoria i libri lunghi sono più difficili da piazzare. Quindi, siccome mi piace fare le cose per conto mio – ho questa tendenza a voler essere indipendente -, ho cominciato a studiare come potevo pubblicare i miei libri in maniera indipendente. Quando finalmente il Kindle è arrivato in Italia, e quindi anche KDP con la possibilità di pubblicare sul mercato italiano, mi sono detta: proviamoci!

A quell’epoca esistevano anche altre piattaforme, suppongo no?

Sì, ma erano abbastanza limitate nei mezzi. Le piattaforme italiane di allora non davano la possibilità di essere veramente in un grosso retailer accanto ai grandi autori, erano piccole realtà, un piccolo pubblico, un piccolo mercato, minuscolo a quei tempi. La differenza c’è stata quando in Italia è stato commercializzato il Kindle, cioè lo strumento con cui gli ebook vengono letti, permettendo di mettere da parte il computer. Gli smartphone e i tablet erano ancora poco diffusi.

Di che anno parliamo?

Il Kindle è arrivato alla fine del 2011 in Italia, in tempo per Natale. Quindi prima di allora non esisteva lo strumento con cui leggere gli ebook (esistevano già i primi ebook reader, ma erano poco conosciuti) e il mercato non poteva svilupparsi. Gli ebook esistevano già da tempo ma chi è che li leggeva? Chi è che si metteva a leggere l’ebook sul computer? Pochissimi, a meno che non si trattasse di prodotti di non-fiction, come manuali che uno ha bisogno di leggere, per cui si adatta, ma per il romanzo si preferiva la carta. Il mercato all’inizio era minuscolo. È cresciuto con il tempo ed ancora è abbastanza piccolo, però nel momento in cui è entrato in gioco lo strumento adeguato, concepito per la lettura (che non è più l’iPad, che non è fatto per la lettura, si adatta anche alla lettura, ma non è la sua funzione principale), nel momento in cui è arrivato il Kindle, che poi è stato seguito a distanza di pochi mesi anche dal Kobo, chiaramente il mercato si è potuto sviluppare e, a quel punto, aveva senso per un autore sperimentarlo, poiché c’era la reale possibilità di essere letti.

Per quanto mi riguarda è stato un lavoro impegnativo. Io sono abbastanza pratica: se faccio una cosa è perché deve portarmi dei risultati, non tanto per passarci il tempo. Così sono arrivata al Self publishing e inizialmente, per provare, per vedere come funzionava, ho pubblicato una fan fiction attraverso Smashwords. Con questa piattaforma non c’era per esempio il problema della conversione, inoltre permetteva di distribuire il libro gratuitamente per un tempo indefinito, cosa che su Amazon non è possibile. Insomma era un modo studiare, provare, un test: la creazione di un libro in una piattaforma molto semplice, dove non ci si doveva preoccupare degli aspetti burocratici, anche perché essendo un libro gratuito non era necessario fornire informazioni fiscali.

Quindi è più semplice con Smashwords.

Sì, è più semplice, perché Smashwords fornisce un manuale gratuito in cui c’è spiegato per filo e per segno come preparare il file, che poi altro non è che un file di Word. Quindi glielo dai in pasto e loro lo convertono, ti danno l’ISBN, lo distribuiscono. L’unica cosa è che con Smashwords non vai su Amazon. Un tempo ci si arrivava, ora non più. Però si arriva in altri store, come Kobo e iTunes. Su iTunes non puoi distribuire direttamente i tuoi libri se non hai un Mac.

Infatti questo è un problema dei dispositivi che non sono convergenti.

Esatto, perché il bello è che tu puoi vendere il tuo libro direttamente da Smashwords che, oltre a essere un distributore, fornisce una pagina per il libro in cui è disponibile in tutti i formati possibili, per arrivare a soddisfare qualsiasi necessità di ereader. Questa, come dicevo, è stata più che altro una prova generale di pubblicazione. Per studiare lo strumento, i meccanismi, con cui si approda alla pubblicazione. Poi chiaramente io l’ho usata perché in questo modo la gente scaricava il libro e trovava il link al mio sito, alla mia pagina Facebook, al mio blog.

Poi, alcuni mesi dopo, ho provato a pubblicare un libro in vendita su Amazon, il primo di “Deserto Rosso” (“Deserto rosso – Punto di non ritorno”), che è una novella. Ci ho lavorato un bel po’ prima di pubblicarla. L’ho scritta a gennaio ma l’ho pubblicata solo a giugno, perché volevo fare le cose per bene. E anche lì ho dovuto studiare, perché comunque la piattaforma del Kindle pare semplice in teoria: carichi il file, la copertina e fai “pubblica”… Non è proprio così, perché a differenza di Smashwords, che davvero ti converte il file, a partire da un file Word a un epub e un mobi, con l’indice e tutto, per quanto riguarda il Kindle devi fornirglielo tu già preparato come si deve o altrimenti il risultato non sarà buono. Loro non controllano niente, come glielo dai, loro lo pubblicano, poi sono problemi tuoi. Mi ricordo che ho passato una nottata a capire come creare l’indice logico ncx, quello che si vede nella barra di avanzamento del Kindle, che può sembrare una sciocchezza, ma è un elemento importante per la fruizione di un ebook.

Quindi ritieni che chi ha delle competenze, delle basi minime a livello tecnico trova difficoltà a fare questa operazione?

Ci sono dei programmi gratuiti che ti permettono di creare i file, ma soprattutto su Amazon, dove il file che tu carichi viene convertito, se questo non è stato preparato come si deve, certi aspetti della formattazione o lo stesso indice logico si perdono. Ora magari l’indice logico può essere una sciocchezza, perché se scrivi narrativa non serve poi tanto avere l’indice per passare da un capitolo all’altro, però in realtà è comodo, perché quando uno sta leggendo si rende conto, per esempio, quanto manca alla fine del capitolo. È comunque qualcosa di professionale presente nel tuo libro che permette al lettore una lettura confortevole, più adeguata alle sue esigenze, e per avere questo piccolo particolare non basta caricare il file di Word, come scritto sul sito di Amazon, ma devi dargli qualcosa di più complesso. Io carico direttamente un file mobi, altri caricano il file epub. È chiaro che lo devi saper creare. Ci sono degli strumenti, dei programmi, ma bisogna saperli gestire. Se le tue competenze non vanno oltre l’uso di Word (e già conoscere bene Word non è da tutti), se non sai usare altri programmi, ci devi mettere un po’ per imparare a creare un file decente, oppure puoi chiedere a qualcuno di farlo per te, pagando una piccola cifra.

Tu hai fatto tutto da sola?

Io ho fatto tutto da sola, sono un po’ una “smanettona” col computer, non ho avuto problemi da quel punto di vista. Per quanto riguarda la creazione dei file per Amazon ho anche scritto un tutorial, che descrive come trasformare in maniera semplice un file di Word in un file mobi.

Uno che non sa come fare, va a cercarsi i tutorial che spesso e volentieri sono in inglese. Io l’ho scritto in italiano e infatti è il post più letto in assoluto sul mio blog.

Rispetto a questo argomento, dall’aiuto che uno può avere dalla comunità in genere, da altri autori sia su Facebook che sui blog, sui forum, secondo te è fondamentale questa interazione tra utenti per avere queste informazioni?

In generale, in tutte le cose, avere a disposizione delle persone che sanno delle cose che tu non sai, mentre tu sai cose che loro non sanno, permette di creare un’interazione sempre molto utile. Ciò è importantissimo nell’ambito del Self publishing proprio perché comunque tu stai portando avanti un progetto “imprenditoriale”. Non sei più solo uno scrittore. Lo scrittore in teoria – ma poi non è vero – può essere un solitario. Ma nel momento in cui devi imparare a fare una serie di altre cose, devi gestire una serie di competenze e hai bisogno di queste competenze, devi trovare altre persone da cui imparare o cui affidarti, con le quali scambiare queste competenze in modo da riuscire a lavorare al tuo progetto.

Quindi tu ti sei rivolta anche a professionisti del settore, per determinate cose, la copertina, il booktrailer…

Sì, per il booktrailer sì. Mi sono rivolta a un amico che realizza filmati anche in altri ambiti. Gli ho fornito lo script, le musiche, le immagini da utilizzare e così via e lui ha realizzato i quattro booktrailer dei libri di “Deserto rosso” (anche le versioni in inglese). Le copertine le ho fatte tutte più o meno io, a parte una cui ha lavorato anche un digital artist, che per inciso è mio cugino, ma è comunque un professionista. Si parla sempre di persone che conoscevo già con cui ci siamo scambiati dei favori: io faccio una cosa per te, poi tu la fai per me.

Ma se un autore non ha la possibilità di attingere alle conoscenze e alle competenze di amici…

Deve pagare qualcuno!

Deve pagare qualcuno e a quel punto quanto costa se uno vuol farlo seriamente?

C’è tutta una gamma di prezzi. C’è anche chi ti fa una copertina per appena 20 euro. C’è chi ti formatta il libro per 50 euro. C’è chi ti fa l’editing per poche centinaia di euro. Stiamo parlando di cifre abbastanza contenute. C’è tutto un mercato cui attingere in base al proprio budget.

Comunque si dovrebbero dunque investire delle risorse se si vuole un minimo di qualità.

Certo. Stiamo parlando di creare un prodotto che si vuole vendere. È normale che si debba investire, se si vuole guadagnare.

L’investimento di risorse può essere un investimento economico o un investimento di tempo, che poi è la stessa cosa alla fine. Puoi cercare nei vari social network delle persone che hanno delle competenze che ti servono e offrire in cambio le tue. Non devi necessariamente pagare con i soldi. E, se le persone non le conosci, le puoi conoscere.

Quindi è uno scambio.

È uno scambio. Per esempio: io sono brava a trovare gli errori durante la correzione delle bozze, quindi ti faccio la correzione di bozze; tu che sei invece bravo a formattare l’ebook mi formatti l’ebook. Parlo sempre di essere bravi a livello professionale o semi-professionale. Non parlo di gente che si improvvisa.

Una volta che hai pubblicato il libro, che tipo di strategie hai messo in atto per promuoverlo.

Le strategie devono iniziare prima di pubblicare. Io ho creato la mia pagina Facebook alla fine del 2011, mentre il primo libro a pagamento l’ho pubblicato a giugno 2012. Avevo un blog dal 2006. L’ho reindirizzato verso la narrativa. Già nel 2010 avevo iniziato a scrivere recensioni di libri nel blog, articoli che riguardavano libri. Stavo cercando di crearmi un pubblico tramite il blog, utilizzando appunto i social network, e poi ho pubblicato quel libro gratuito, una fan fiction. In questo modo la gente è entrata in contatto con me, essenzialmente tramite Facebook, per cui nel momento in cui ho pubblicato il libro non è che fossi totalmente sconosciuta. Stavo pubblicando un libro che costava 89 centesimi. Molte persone che mi conoscevano lo hanno comprato. Non stiamo parlando di cifre esagerate, perché il primo mese forse ho venduto 34 copie, però, se vai a vedere, nel 2012, 34 copie non era un numero piccolo.

Poi è successo qualcosa. Uno può portare avanti tutte le strategie che vuole, però alla fine può accadere un evento che cambia un po’ le regole del gioco, che rappresenta una svolta. Nel mio caso è stato il fatto di entrare in contatto con FantaScientifiCast, che è un podcast dedicato alla fantascienza.

Mi sono posta questo problema: io scrivo fantascienza, devo arrivare alle persone che leggono fantascienza, quindi dove vado? Vado a cercare i blog che scrivono di fantascienza. Sono andata su Google e ho fatto delle ricerche. Poi ho provato a contattare un po’ di persone, offrendo loro di leggere il mio libro. Così ho trovato il blog di FantaScientifiCast, dove venivano presentate le puntate del podcast. Ho contattato la redazion:, la mia mail è stata letta da uno dei fondatori, Omar Serafini, che poi adesso è un mio grandissimo amico. Gli ho domandato se poteva interessargli leggere il mio ebook. E lui mi ha risposto che l’aveva già acquistato. E mi ha detto che gli sarebbe piaciuto intervistarmi, visto che loro parlavano appunto di fantascienza e io ero un’autrice italiana di questo genere che stava provando questa nuova opportunità fornita dal Self publishing e lo faceva addirittura scrivendo una storia a puntate, un po’ come le serie tv.

Successivamente ho iniziato a collaborare all’interno del podcast, in cui ho una mia rubrica, e questo quindi è stato l’elemento di svolta. Il giorno che hanno parlato del mio libro, questo per la prima volta è arrivato nella top 100 del Kindle Store, che nel 2012 voleva dire che aveva venduto circa 7 copie. Non stiamo parlando di chissà quali numeri, ma all’epoca 7 copie in un giorno comunque era tanto. E il libro poi ha continuato a vendere bene per un paio di mesi. È chiaro che quelli che seguivano un podcast di fantascienza probabilmente più di altri già allora disponevano di un ereader, di un tablet o uno smartphone, quindi avevano l’opportunità di acquistare e leggere il mio ebook., Inoltre era corto e costava pure poco, anche il rischio di perderci del tempo era minimo. E da lì, poi, è venuto tutto il resto.

Essendo la mia strategia quella di scrivere quattro puntate, chiaramente ho creato un meccanismo di fidelizzazione, perché chi legge la prima si incuriosisce e vuole leggere la seconda e così via. Da lì io sono partita con la mia strategia di promozione che si basava sul cercare di creare un’interazione con il lettore, mentre scrivevo le varie puntate, rendendolo partecipe del processo creativo, chiedendo la sua opinione su cosa sarebbe accaduto, su cosa preferiva o cosa non preferiva, insomma, creando attesa. E questo lo puoi fare solo se stai scrivendo una serie.

Comunque, mi viene da pensare, tu hai trovato questo canale preferenziale, rispetto adesso a tutte le strategie che mettono in atto tutti gli autori, sulle pagine Facebook sui gruppi, lo spam continuo…

Non serve a niente!

Ecco, appunto…invece il blog tour?

Il blog tour lo facevo anch’io, ho fatto una ventina di tappe. È un modo per apparire sulle ricerche di Google.

Essendo apparsa in una ventina di blog nell’arco di un anno e mezzo, quando la gente cercava fantascienza, Marte o Self publishing, trovava me. Sai quante persone mi hanno detto: “Cercavo informazioni sul Self publishing e ho trovato te e ti ho scritto e ho scoperto che scrivi questi libri e la fantascienza è il mio genere preferito.”

Bisogna essere presenti sul web, perché poi la gente arriva da te, non tramite Facebook perché lì ci sono le persone che conosci, direttamente tramite Google. Per questo devi essere presente, in più posti possibili, fornendo informazioni utili, diverse. Per questo motivo facevo tantissimi guest post in quel periodo. Oltre a scrivere i miei libri, scrivevo tutte queste cose per lasciare una traccia virtuale che portasse la gente verso il mio blog, sul mio sito e verso i miei libri.

Poi ci sono altre strategie basate sui meccanismi interni di ogni retialer, come l’algoritmo di Amazon. Se riesci a utilizzare i meccanismi esterni per far vendere bene il tuo libro per un certo numero di giorni, inneschi dei meccanismi interni al retailer per cui il tuo libro viene promosso e viene presentato a possibili lettori che sono interessati a quel genere e per un po’ di tempo continua a vendere bene.

Rispetto a questa particolare strategia, secondo te, ci sono dei gruppi organizzati su Facebook, editori, autori che mettono in atto chiamiamole strategie per far salire il libro nelle classifiche?

All’inizio c’era chi si metteva d’accordo: oggi compriamo tutti il libro di uno, domani di un’altro. Una cosa del genere non serve, perché, anche se il libro vende bene un giorno, il giorno dopo non lo compra comunque nessuno e la sua posizione in classifica crolla. Adesso poi, siccome il mercato è cresciuto, per ottenere lo stesso effetto si dovrebbe mettere insieme un numero davvero elevato di persone.

I gruppi, invece, sono utili per diffondere informazioni tra colleghi. Anch’io faccio parte di un gruppo all’interno del quale ci teniamo informati su ciò che avviene nel mondo del Self publishing e ci aiutiamo a vicenda su piccole cose, ma finisce lì. Cercare di promuoversi a vicenda non ha senso, se non si scrive esattamente nello stesso genere, se non si ha lo stesso target di pubblico. In questo senso condividere i link di un altro autore non serve a un granché. Ci si aiuta un po’ a vicenda in altri ambiti, ma non per scalare le classifiche.

Adesso non si riesce più a farlo usando metodi “artificiosi”, come comprarsi il libro a vicenda, soprattutto su Amazon, dove sono presenti categorie molto affollate in cui dovresti vendere molte copie ogni giorno per scalare le classifiche. Ma scalare le classifiche non è detto che porti a ulteriori vendite. I potenziali lettori che vanno su Amazon difficilmente arrivano a guardare le classifiche. Si fermano spesso sui consigli che trovano in homepage o nelle pagine di altri libri cui sono interessati, che sono poi i suggerimenti creati dall’algoritmo e dipendono dal fatto che un libro venga venduto in maniera costante per un certo numero di giorni.

E infatti il successo maggiore che ho avuto facendo pochissima promozione è stato con il thriller dell’anno scorso, “Il mentore”, che per cinque mesi ha venduto 150 copie al mese, senza che io facessi alcuna particolare promozione. Ho semplicemente innescato la vendita all’inizio, poiché avevo già dei lettori che erano incuriositi dal libro. I primi tre giorni l’ho venduto a 99 centesimi e i miei lettori affezionati lo hanno preso a occhi chiusi, perché costava poco. Era il mio nuovo libro e lo hanno preso. Il fatto che per tre giorni avesse venduto così tanto ha innescato l’algoritmo di Amazon, e il libro ha cominciato a vendere in maniera costante. Nonostante poi costasse quasi 3 euro, il libro vendeva 5, 6, anche 7 copie al giorno in maniera continua, più era continua più continuava a vendere, in una sorta di circolo virtuoso che è andato avanti per cinque mesi tondi.

Adesso ti faccio una domanda, dato che alcune case editrici fanno scouting sulle classifiche di Amazon, tu sei stata mai contattata da case editrici nel momento in cui hai avuto questo successo?

Come ti dicevo prima, per quanto riguarda quelle italiane, il successo che ho avuto con “Il mentore” non era visibile nelle classifiche. Se vendi 6-7 copie al giorno, non sali più di tanto nelle classiche dei thriller. Tu vendi tanto però non arrivi alla top 100 e neanche ai vertici della classifica di genere, quindi non ti vedono. In genere il libri di self-publisher che si trovano nella top 100 sono soprattutto romance e qualche thriller, con prezzi che raramente superano i 99 centesimi.

In passato, delle case editrici mi hanno contattato ai tempi del primo libro di “Deserto rosso”. Dopo averlo pubblicato (quando ha iniziato a vendere bene) ho avuto tre contatti di altrettante piccole case editrici diverse. Io ho declinato, anche perché erano meno popolari di me, e non mi sembrava il caso!

Poi è successo che, per quanto riguarda “Il mentore”, ho avuto un contatto dall’estero da Amazon Publishing. Mi hanno proposto di acquisirne i diritti di traduzione in inglese. E infatti questo autunno uscirà “The Mentor” nel mercato anglofono.

Perché loro sono anche editori?

Sì, Amazon Publishing comprende una serie di etichette, tra cui c’è una che si chiama Amazon Crossing che è una etichetta che pubblica libri di autori stranieri tradotti in inglese e in tedesco. Cercano tra i self-publisher, perché è più semplice avvicinare queste persone, studiarle da vicino e, diciamolo, anche fare dei contratti vantaggiosi perché non c’è nessun intermediario di mezzo. Loro ti offrono la possibilità di far tradurre il tuo libro. Già questa è una grande cosa, perché tradurre un libro costa migliaia di euro. Stiamo poi parlando di un editore che è anche il più grande retailer del mondo, perciò se loro spendono dei soldi sul tuo libro è perché sono certi di riuscire a venderlo bene tanto da ripagare le spese e ovviamente guadagnarci.

E quindi la differenza quale è alla fine, solamente che tu cedi i tuoi diritti d’autore?

No, i diritti di traduzione sono diritti accessori, non sono i diritti d’autore sull’opera originale. Io concedo solo la possibilità di tradurre il libro in una determinata lingua per un certo numero di anni e loro in cambio traducono a loro spese il libro, lo pubblicano e lo promuovono. E mi pagano le royalty, che sono chiaramente più basse rispetto a quelle del self-publishing (bisogna però considerare che vendono i libri a un prezzo finale più elevato), ma devi mettere in conto che lo stanno traducendo e promuovendo. Inoltre il libro viene pubblicato anche come audiolibro (formato altrimenti molto costoso da realizzare come self-publisher). Sono editori a tutti gli effetti, ma per certi versi il meccanismo è molto simile al KDP, perché, per esempio, pagano a 60 giorni, e non una o due volte l’anno come capita con la maggior parte degli editori tradizionali.

Secondo te l’Italia rispetto all’Estero come è messa rispetto al Self publishing, siamo arretrati?

Il problema dell’Italia è che il mercato è più piccolo. Il mercato dell’ebook in Italia è appena il 5% rispetto al mercato librario in genere. Inoltre siamo una nazione relativamente piccola, nel senso che il numero di persone che leggono in italiano nel mondo è ridotto. Questo è già un limite, per cui chi si impegna nel Self publishing parte dal presupposto che non ci guadagnerà abbastanza per vivere di scrittura, anzi, probabilmente non venderà quasi nulla. Salvo rari casi, può andarti bene per qualche mese, ma le vendite possono calare da un giorno all’altro. Ciò fa sì che molte persone si impegnino nel Self publishing in maniera superficiale, dando luogo al cosiddetto trash publishing (pubblicazione di spazzatura). Nel mercato americano ci sono tantissimi autori che vivono dai propri libri e ciò comporta maggiori stimoli a impegnarsi in un certo modo per raggiungere dei risultati. Nonostante questo il trash publishing è ovunque e un modo per evitarlo non c’è, a parte quello costituito dal lettore stesso che fa da filtro. Se un libro è un cattivo prodotto (cioè non piace), riceverà recensioni negative, nessuno lo acquisterà più e finirà nell’oblio. Quando invece il libro piace, continua ad avere dei risultati. Poi il fatto che piaccia non vuol dire che sia bello in senso assoluto.

Ma secondo te, la funzione della casa editrice è indispensabile?

Ovviamente non credo affatto che sia indispensabile. La casa editrice è un’azienda e ha uno scopo: creare un profitto affinché i suoi dipendenti possano viverci. Il self-publisher non ha questo assillo. Il self-publisher ha un solo pensiero: trasmettere il suo messaggio. Il profitto viene dopo. Non è il motivo primario per cui pubblica i suoi libri. Per questo sono due mondi diversi.

È chiaro che passi dall’uno all’altro nel momento in cui cominci a dedicarti al Self publishing sempre di più, togliendo spazio ad attività remunerative. A quel punto il tuo comportamento deve avvicinarsi un po’ a quello della casa editrice. Resta però il fatto che la casa editrice cerca di pubblicare solo libri che vendono. La qualità del prodotto è limitata al confezionamento, mentre il messaggio non ha importanza. In questo senso per un editore un libro di ricette non ha meno valore di un saggio o di un thriller. L’importante è che venda.

Tu hai mai inviato dei tuoi manoscritti?

No!

Non ci hai mai provato?

No!

Ma per principio?

No, non è questione di principio. Più comprendevo il mondo editoriale italiano e più mi dicevo: ma chi me lo fa fare? E tutto un mondo costituito da case editrici a pagamento, che manco le consideriamo, piccoli e medi editori con i quali resti comunque sconosciuto e vendi poco o nulla, e poi ci sono i grandi editori. A questi in passato ci arrivavi solo tramite un agente. Quindi dovevi prima cercarti l’agente, magari pagarlo. Se poi arrivavi a una casa editrice, loro prendevano il controllo sulla tua opera. La casa editrice non è interessata alla singola opera, ma che l’azienda funzioni bene, quindi ci sono delle opere che vengono ben spinte e altre su cui puntano meno. Se queste vanno bene, sei fortunato, altrimenti santi saluti e tu intanto i diritti li hai persi per un lungo periodo di tempo. Insomma un sacco di cose che non mi piacevano. In più c’era il fatto che la fantascienza la proponevano pochissimi editori. Alla fine non mi sono neanche posta il problema. A suo tempo (ma adesso non mi interessa più) mi sarebbe piaciuto partecipare al Premio Urania, ma anche in quel caso pareva che non fosse destino, perché il mio libro era lungo il doppio della lunghezza massima stabilita dal premio. Per cui alla fine mi sono detta: va bene, faccio per conto mio. Più vado avanti e più mi rendo conto che ho fatto bene.

Ma se non ci fosse stato l’avvento del web 2.0, la tecnologia e l’editoria digitale o anche gli stessi gruppi di aiuto, tutto questo sarebbe stato possibile?

No, perché, anche se il Self publishing esisteva già, era qualcosa che…

Era cartaceo.

Sì, era cartaceo, ma non solo. Il passo successivo è stato il POD con cui almeno non spendevi dei soldi per pubblicarti. Non rischiavi. Ma prima del POD per stampare un libro dovevi pagare il tipografo e poi la possibilità di riuscire a venderlo rasentava lo zero. La rete ha cambiato tutto.

Ma anche il POD non era uno strumento adeguato. All’inizio c’era solo LULU, che però vendeva i libri a prezzi molto alti. Adesso anche questo sta cambiando con CreateSpace, un’azienda di Amazon, con cui riesci a vendere un libro a sei-otto euro, che è un prezzo che può fare concorrenza a quelli dei grandi editori.

Tu hai fatto anche in cartaceo i tuoi libri?

Sì.

E hai riscontrato delle differenze anche nella vendita?

Assolutamente. Il cartaceo è quasi uno sfizio, l’ho fatto per quelli che volevano l’“oggetto”. Ma il mercato degli ebook e quello cartaceo non sempre si sovrappongono. Ultimamente mi capita di vendere dei libri cartacei, ma stiamo parlando di poche copie al mese e comunque dal cartaceo si guadagna meno che dall’ebook. Se voglio mantenere il prezzo del mio libro concorrenziale, le royalty che ottengo sono molto più basse di quelle provenienti dalla vendita dell’ebook. Per cui è proprio uno sfizio!

Il lettore medio ha accettato la presenza dell’ebook o cerca ancora il cartaceo?

Il lettore medio probabilmente non legge i miei libri, quindi non te lo so proprio dire! Nel senso che la situazione è un po’ tragica: il lettore medio legge l’autobiografia di un calciatore e cose simili, quindi non lo so.

Il lettore forte invece si sta sempre più spostando “anche” sul digitale. Io sono una lettrice forte e leggo sia sul digitale che sul cartaceo. Di certi libri leggo il cartaceo di altri il digitale, ma talvolta è anche una questione di reperibilità. Inoltre ci sono dei casi particolari. Per esempio, io leggo tutto di Patricia Cornwell, perché mi piace, e il cartaceo me lo compro, però magari me lo compro in inglese, perché costa meno. Di altri autori di cui non mi interessa avere l’oggetto prendo l’ebook. Con l’ebook posso avere la possibilità di acquistare più libri di qualità a minor prezzo. Penso che pian piano anche il lettore medio andrà in questa direzione. Magari di certi libri si continuerà ad acquistare il cartaceo, per regalarlo oppure perché piace quell’autore e si vuole avere i suoi libri cartacei, però per provare autori prima sconosciuti si andrà sempre più sull’ebook, perché costa meno.

Secondo te non c’entra niente il discorso dell’età, del divario digitale?

No, mia madre ha il Kindle e da quando lo ha le dà quasi fastidio usare il cartaceo, adesso che si è abituata. Magari l’approccio iniziale può essere difficile, però una volta che a una persona di qualsiasi età gli dai la possibilità di provare un ereader e valutare la differenza fra i vari formati, si rende conto di quanto è comodo.

Ma io non parlo tanto del discorso di usufruire della lettura, ma di tutto il complesso, cioè di riuscire a connettersi a internet, di scaricare il libro, di fare tutta la procedura…

Ma non è così complicato, oramai tutti usano gli smartphone.

Dato che dalle ultime statistiche dell’Istat siamo messi un po’ male, come competenze digitali.

Giungere alla fruizione dell’ebook è talmente facile che alla fine non è quello il problema. Non sappiamo fare altre cose, ma scaricare l’app del Kindle sullo smarthpone (o quella di Kobo o andare direttamente nel Play Store) e cliccare sul tasto per acquistare non è una cosa complessa. Magari la prima volta te lo imposta tuo figlio, ma poi continui per conto tuo. Questo vale anche per il Kindle (l’ereader). Puoi acquistare il libro direttamente dal lettore, non è complicato. Poi magari non sai usare il computer, ma questo è un altro discorso.

Riassumendo, come lo vedi tu questo mercato, cioè il libro digitale si affiancherà a quello cartaceo o entreranno in competizione?

Competizione fino a un certo punto, perché comunque il fatto che uno acquisti un libro cartaceo e un libro digitale dipende da tanti fattori: dipende dal prezzo, dipende dal libro, dall’oggetto libro e dal contenuto libro. Ciò varia secondo il libro e le abitudini della persona. Se stai molto su Internet, stai sempre a giocare sul cellulare, è più facile che acquisti l’ebook, perché c’è l’immediatezza. Dici: lo voglio leggere adesso. Se invece vai in libreria e vedi l’oggetto, magari è facile che l’acquisti lì perché lo puoi comprare, prendere in mano e iniziare subito a leggerlo.

Col passare del tempo sicuramente (sta già avvenendo) l’ebook si espanderà, come aumenteranno i titoli a disposizione, si avrà sempre più facilità ad accedere a essi. Così il mercato degli ebook si sta affiancando piano pianino a quello del cartaceo e, mentre il mercato totale editoriale in Italia diminuisce (nel senso che dal precedente anno abbiamo perso non so quanti lettori), la percentuale dei lettori di ebook sale. Non compensa la perdita, però comunque sale. In alcuni Paesi, come negli Stati Uniti, dove l’ebook è più diffuso, si vendono forse più ebook che libri cartacei. Questo è normale, perché costano meno, ma non è detto che poi la gente li legga.

Nell’ultima edizione della fiera del libro di Roma PiùlibriPiùliberi, c’erano piccoli e medi editori e nessuno di questi lavorano nel digitale.

Sì, ma le fiere non significano niente, non rappresentano la realtà del mercato, ma solo una parte. Nelle fiere del libro i libri talvolta non contano nulla (può sembrare assurdo, ma è così), pare quasi che siano un contorno. Sono un po’ lo specchio del lettore medio che dicevamo prima, ma non quello del lettore forte che legge narrativa, che poi è il mondo verso cui si rivolge chi scrive l’ebook.

Era una considerazione, nel senso che se è il libro digitale che cresce e di conseguenza diminuisce quello cartaceo che viene pubblicato dall’editore tradizionale, va da se che queste case editrici faranno una brutta fine, chi è che produrrà questi libri digitali?

I piccoli editori sopravvivono, perché spesso sono delle associazioni no profit, altri perché esistono solo in digitale, e questi alle fiere in genere non ci vanno perché il loro mercato è online, altri nell’approdare al digitale hanno iniziato a vendere altri generi. Vedi il caso della Delos, nata come editore di fantascienza, che adesso nella sua versione digitale si è aperto ad altri generi, tra cui l’erotico. Per sopravvivere come editore, devi vendere ciò che la gente acquista.

Poi c’è il fatto che una casa editrice ha dei costi enormi solo per esistere (stiamo parlando di un’azienda), quindi deve vendere gli ebook a prezzi più elevati e chiaramente ne vende meno. Oppure, se tiene bassi i prezzi, ha margini molto ridotti di guadagno (a meno che non faccia contratti agli autori con clausole inique). Per questo motivo gli editori cercano di resistere agli ebook, cercano di non pubblicizzare gli ebook anche nelle fiere, perché ci guadagnano poco, quindi vogliono ancora spingere i lettori a comprare il cartaceo. D’altra parte sono comunque costretti a pubblicare gli ebook per rimanere al passo con i tempi.

Va da sé che comunque c’è un overload di produzione di ebook, di contenuti enorme rispetto…

D’altronde c’è tantissimo trash publishing, cioè spazzatura…

Ma ci sarà una sorta di auto regolamentazione poi alla fine?

Sì, una selezione naturale: ciò che è brutto finisce nell’oblio. Adesso moltissimi autori mettono il libro su Kindle Unlimited perché così i lettori iscritti al programma li possono leggere gratis (mentre a loro viene riconosciuta una royalty in base alle pagine lette), ma se il libro non è buono in pochissimo tempo viene distrutto nelle recensioni. Anzi, si crea questo meccanismo per cui, se il libro è gratis, io lettore non ne percepisco più il valore e crolla ogni mio rispetto nei confronti del lavoro dell’autore, quasi come se gli facessi un favore a leggerlo e a spiegargli perché non mi è piaciuto.

Secondo te, quale è l’operazione che ha voluto fare Amazon?

Amazon vuole il monopolio sul mercato. Con KU vuole prima di tutto beccarsi i soldi sicuri dai lettori, che leggano o non leggano. Invece, per quanto riguarda i self publisher, decide mese per mese quanto dare di royalty, quindi di fatto ha il controllo. Con gli editori invece ha un rapporto diverso, ma gli editori tradizionali che hanno aderito a KU sono veramente pochi.

Ma non c’è un buon rapporto tra gli editori e Amazon

No, diciamo che il caso di Hachette dell’anno scorso è stato emblematico. Però guarda caso si sono messi d’accordo per Natale!

Comunque Amazon lavora sulla coda lunga, anzi lunghissima, non gliene frega nulla che un titolo vada bene. È la somma che conta.

Ci sono autori in America che pubblicano con le case editrici e che hanno fatto qualcosa in Self publishing.

Sì, ci sono gli autori ibridi, quelli che pubblicano delle cose tramite gli editori e delle cose come self, dipende anche dal tipo di libro. Anch’io sto diventando ibrida, anche se per un’edizione tradotta, però il self-publisher è un imprenditore e deve cercare di sfruttare al meglio i propri diritti per ottenerne il miglior guadagno e quindi saper valutare dove andare da solo e dove avvalersi di altri, che siano editori tradizionali o professionisti dell’editoria (editor, correttori di bozze, ecc..). Poi bisognerebbe vedere come sono fatti questi contratti. Un self-publisher che fa un contratto con un editore tradizionale lo fa in maniera diversa rispetto a un autore non self publisher. Richiede delle cose diverse. Pare che l’autore ibrido sia oggi quello che ha i migliori risultati a livello economico, perché sfrutta il meglio di entrambe le cose.

Quindi tu non escludi nulla.

No, non escludo nulla, escludo la possibilità di collaborazioni con editori italiani, perché la situazione in Italia è grigia, per cui è meglio stare da soli. Ma su altri mercati, dove non avrei la possibilità di avere il controllo che posso avere nel mio Paese, valuto caso per caso.

 

[1] http://www.anakina.net/

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Osserva e Ricorda. Le immagini scorrono veloci davanti allo sguardo, a volte distratto. Osserva: sensazioni ed emozioni, scivolano addosso, come pioggia leggera e non lasciano traccia, solo una vago sentore di umido...ma osserva meglio, concentra il tuo pensiero su ogni breve istante della tua vita e ricorda... Ricorda la gioia e il dolore. L'emozione che ti avvolge, la disperazione che ti affossa in un abisso buio e profondo. Ricorda le parole, i sorrisi, gli sguardi minacciosi, l'Amore e l'Odio. La Vita e la Morte. Osservo il mondo e traduco i pensieri in parole... http:negliocchienelcuore.wordpress.com
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9 risposte a Quando il Selfpublishing è sinonimo di qualità e successo. Intervista a Rita Carla Francesca Monticelli

  1. newwhitebear ha detto:

    Molto interessante è questa intervista con Rita Monticelli, che ho conosciuto su Anobii tramite quella fan fiction di cui ha parlato su smashword. Piattaforma su cui ho messo due ebook, uno gratuito e uno a pagamento. Come piattaforma sicuramente è buona, come ha detto anche Rita. Più complicato è vendere lì.
    Comunque quella fanfiction, tratta dalla La Mummia non era male anche se, come ci siamo detti tramite la chat di Anobii, presentava qualche problema.
    Domende intelligenti e risposte esaurienti e chiare.

    • Rita Carla Francesca Monticelli ha detto:

      Benritrovata. 😉

    • Smashword è interessante perchè ti permette di distribuire l’ebook su vari stores, riguardo alle vendite non saprei, devo ancora testare questa piattaforma. Rita è professionalmente preparatissima e si dedica alla scrittura con serietà e impegno, cosa che non è riscontrabile nella maggioranza degli autori self publisher per i quali pubblicare rimane comunque un’attività secondaria, amatoriale e dilettantistica. Lo spirito dell’autopubblicazione è in genere quello di divulgare le proprie opere presso un pubblico di lettori più ampi, non certo è certo messa in atto per lucrare o intraprendere una professione, purtroppo in Italia il mercato non è ancora pronto a recepire questa innovazione, come invece accade negli USA. Vedremo cosa succederà nel futuro…

      • newwhitebear ha detto:

        Hai ragione per quello che hai scritto su Smashword. Dovrei avere più tempo per esplorarla. Sto meditando di mettere qualcosa d’altro su questa piattaforma ma vorrei farlo con più giudizio.
        Comunque sia le domande, sia le risposte mi hanno affascinato molto.
        Ciao

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